L’apprendimento esperienziale è un modello di apprendimento basato sull’esperienza diretta.
Competenze, conoscenze ed esperienze sono acquisite al di fuori del contesto tradizionale in aula e possono includere stage, studi all’estero, gite, ricerche sul campo e progetti di varia natura che includano una vera e propria esperienza.
L’apprendimento esperienziale si è diffuso grazie al contributo del teorico dell’educazione David A. Kolb, che, insieme a John Fry, ha sviluppato la “teoria dell’apprendimento esperienziale”, secondo la quale “l’apprendimento è un processo in cui la conoscenza viene creata attraverso la trasformazione dell’esperienza“.
Proprio per questo motivo, EgoFormazione che si occupa di apprendimento a 360° ha deciso di aprire e sviluppare un’area specificatamente addetta all’apprendimento esperienziale chiamata AlterEgo che affiancherà l’area relativa all’apprendimento cognitivo.
E, per introdurvi a ciò che faremo nei prossimi mesi, questo articolo parlerà di un tipo di apprendimento che lega le due modalità.
Parleremo di apprendimento Motorio.
Partiamo dalla teoria:
il nostro cervello è costituito da due emisferi, a determinate aree di ciascuno dei due emisferi possiamo assegnare il controllo di funzioni come la vista (posteriormente nel lobo occipitale), l’udito (lateralmente, nel lobo temporale), le attività di pensiero, associazione e memoria (anteriormente nel lobo frontale) e la motricità e la sensibilità (superiormente al centro, nel lobo parietale).
Esistono dunque un’area motoria e un’area sensitiva per ciascun emisfero che controllano il lato opposto del corpo; il comando, infatti, parte dalle cellule motorie piramidali, percorre, sotto forma di impulso elettrico le fibre corrispondenti che si collegano ad un’altra fibra muscolare, mediante una giunzione detta appunto sinapsi neuro-muscolare, dove l’arrivo dell’impulso determina la contrazione.
In realtà sarebbe un po’ più complessa di così ma non volevo annoiarti 🙂
Torniamo a noi.
I movimenti si dividono in volontari, automatici e riflessi. La nostra esistenza è regolata in ogni momento da fenomeni riflessi, cioè di reazione a uno stimolo. Le posizioni che assumiamo, per esempio, sono il risultato di contrazioni riflesse dei nostri muscoli.
Per movimento volontario si intende quello che viene voluto e regolato nei dettagli da una rappresentazione mentale cosciente, la quale pensa costantemente alle varie fasi, ai movimenti parziali dell’intero gesto.
Il movimento automatico è invece quello che può essere eseguito con disinvoltura e perfezione, anche pensando ad altro; inizialmente è volontario, dopo migliaia di ripetizioni si automatizza e viene immagazzinato stabilmente nella memoria motoria.
Nello sport, quando non si è mai provato un movimento, si procede per tentativi e pensando a tutti i dettagli dell’esecuzione e la tecnica si basa su movimenti parziali volontari, nei quali l’eccessivo controllo dell’attenzione li rende impacciati, disarmonici e faticosi; il principiante sembra quindi rigido, i gesti poco fluidi;
non avendo esperienza, e, non conoscendo la corretta successione degli interventi muscolari che lo determinano, non riesce a realizzare la contrazione e la decontrazione della muscolatura nei tempi giusti e alla giusta intensità, contrae più muscolatura di quanto è necessario (il muscolo agonista viene usato con maggior forza di quel che serve, quindi l’antagonista deve usare maggior forza per frenarlo).
Occorre, appunto, che i muscoli antagonisti, che devono frenare il movimento nella sua fase terminale, intervengano solo al momento opportuno; se intervenissero troppo tardi provocherebbero danni alle strutture, se troppo presto si opporrebbero al movimento rendendolo poco fluido e dispersivo dal punto di vista energetico.
Man mano che si diventa esperti, il movimento diventa sempre più automatico, facile ed elegante, lo facciamo pensando non più allo schema fondamentale ma a certi particolari o ad un obiettivo superiore (a dare effetto alla palla, a fare un tiro più potente o ad indirizzarlo in un punto preciso).
Nel momento in cui lo schema si è automatizzato, il controllo di certi dettagli non è più semplicemente volontario perché la volontà interviene solo se decide di interromperlo, mutarlo, accelerarlo o rallentarlo.
Nel contempo partecipano anche delle contrazioni riflesse atte, a fermare i segmenti corporei che non c’entrano, a farci mantenere dritti e in equilibrio, a frenare la “corsa” del movimento (se così non fosse andremmo dietro alla palla.)
I movimenti della vita quotidiana sono, per un buon 80% automatici: lavarsi, vestirsi, cucinare, guidare, lavorare a maglia, scrivere; pensiamo, per tutti questi, qual è la componente volontaria e quale la componente automatica?
Dipende dal nostro grado di esperienza in quel settore; per lo scrivere la differenza tra volontario e automatico si può vedere tra la mano destra e la mano sinistra (viceversa per i mancini).
Come facciamo allora per poter imparare un nuovo schema di movimento?
Per esempio, imparare a scrivere con un altro alfabeto, oppure imparare un gesto tecnico relativo a un determinato sport.
Dobbiamo creare una nuova abilità!
Il concetto di abilità intesa come compito motorio (saper svolgere quel compito), viene classificato in base alla modalità di organizzazione del movimento e possiamo distinguere:
Non esistono però solamente abilità puramente cognitive e abilità puramente motorie, tra le due esistono infatti delle abilità in cui sono necessari entrambi gli elementi.
Ad esempio per guidare serve il controllo motorio ma anche saper prendere qualche decisione (quale strada percorrere, dove svoltare, quando è opportuno cambiare marcia).
Il controllo motorio si ottiene sempre partendo da elementi cognitivi, prima si pensa a quello che si deve fare e poi quando quel movimento viene automatizzato viene prodotto naturalmente.