Oggi vorrei parlarvi di un tema a me molto caro. Vi parlerò dello sport e di come questo possa essere fonte di educazione e apprendimento.
Gioco a calcio da quando avevo 8 anni. L’anno prossimo (ebbene sì!) entrerò nel trentesimo anno di attività. Vorrei raccontarvi di quanto lo sport, in particolare quello di squadra, abbia migliorato la mia esistenza, plasmato il mio carattere, e mi abbia fatto riconoscere i punti di forza e di debolezza della mia persona. Sono convinto che la maggior parte delle persone che fanno sport o che hanno figli che lo praticano possano ritrovarsi in molti punti.
Fino all’età di 7 anni non volevo saperne di giocare a calcio, a dire il vero non volevo saperne di fare sport perché per me l’equazione era SPORT=FATICA. Eppure andavo a vedere mio padre giocare, facevo già nuoto con la scuola. Quindi non si può dire che l’ambiente circostante non mi direzionasse verso l’attività fisica.
Poi, dopo una discreta, ma mai invadente, pressione ho deciso di iniziare a giocare a calcio! Tutti i miei amici giocavano a calcio, la scelta era obbligata o quasi… E quindi, dopo i primi allenamenti, è arrivata la prima partita! “Dove vuoi giocare?” e io: “in porta!”. Quella del portiere non era la mia vocazione, semplicemente non volevo correre e fare fatica!
Però, per fortuna, ho preso diversi goal, e da lì ho cambiato attitudine. “I goal li voglio fare!”.
Sempre per non fare troppa fatica, però, per i primi due anni ho giocato con quelli più piccoli di me perché così potevo emergere senza troppi problemi. Eh già la mia autostima non spiccava in quei momenti! Ricordo un allenamento passato in mezzo alla nebbia immobile in campo perché mi dicevo: “tanto non sei capace”. Credo che mio papà in quei momenti pensasse, e per fortuna non diceva mai: “ma proprio a me un figlio così?”. Che bravo è stato a non dirmi mai, se non quando sono cresciuto, quali fossero le sue paure.
Poi a un certo punto ho capito che per imparare e crescere dovevo fare qualcosa di diverso, e, grazie anche a un team di allenatori straordinari, ho deciso di allenarmi e giocare con i miei coetanei. Che fatica all’inizio! Gli anni “persi” mi avevano creato un gap che mi sembrava insuperabile!
Eppure, proprio in quel momento credo di aver maturato la mia più grande convinzione sullo sport di squadra: lo sport è la squadra! Vivere assieme agli altri, condividere valori, regole, momenti ci ha resi persone migliori. Certo litigavamo, spesso qualcuno si menava, ma ognuno di noi aveva ben chiare delle cose fondamentali:
Quel gruppo era composto da 30 ragazzini e quindi la società aveva dovuto creare due squadre che facessero tornei distinti. Una era composta da ragazzi con maggiori potenzialità dell’altra ma succedeva una cosa bellissima: a turno ci si scambiava tra una squadra e l’altra, per sviluppare anche altre abilità: SI PUO’ ANCHE PERDERE! E soprattutto NESSUNO È SU UN PIEDISTALLO.
Esistevano regole che ricordo ancora oggi.
La prima era che a turno due erano addetti al “gonfiaggio” palloni e due, al termine dell’allenamento, alla pulizia degli stessi e al recupero del materiale. Ovviamente nessuno batteva ciglio perché la regola valeva per tutti.
La seconda regola era: “se hai le scarpe sporche non giochi”, “se ti si slacciano le scarpe, ti sostituisco”. Dietro questi apparenti obblighi coercitivi c’era un serio allenamento alla responsabilità: se le scarpe sono il tuo strumento di lavoro e non ti prendi cura di loro, significa che non tieni a quello che stai facendo! E questo discorso vale anche per astucci, zaini, compiti per casa, ecc… Se un ragazzo sa che qualcun altro farà le cose o se sa che non ci sono conseguenze, beh perché dovrebbe farle???
Un’altra regola che ho amato e che continuo a manifestare ancora adesso ai miei allenatori, era che non tutti giocavano sin dall’inizio ma di volta in volta si sceglieva chi partiva in panchina e poi entrava in gioco al secondo tempo e chi invece giocava il primo tempo per poi essere sostituito. Tutto ciò a prescindere dal risultato. Per me era una cosa splendida, a turno noi sceglievamo di farci sostituire o di partire in panchina! Cosa a volte inconcepibile ai giorni nostri. Eravamo una squadra di ragazzini, ma quello era l’insegnamento che serviva in quel momento. Bello vincere, ma prima viene la squadra! E quella squadra vinceva anche!!!
Poi si cresce, si cambiano le squadre e si cambia anche la passione per lo sport, ma in quegli anni credo che una generazione di ragazzi, tra cui me stesso ovviamente, ha sentito le proprie vite segnate, in positivo, in maniera indelebile!
Allora mi domando a cosa sia dovuto l’abbandono dello sport da parte dell’80% dei ragazzi attorno ai 14 anni.
Ormai la competizione nella società è sempre più esagerata e va dalla pretesa di voti alti a scuola, alla convinzione di avere dei piccoli campioni che calcano i campi di periferia come parcheggio prima di arrivare alla celebrità. Chiaramente ci sono sport in cui questa situazione è più sentita, come nel calcio, e altri in cui si avverte meno, come nel rugby, ad esempio.
In alcuni casi la competizione a tutti i costi rovina la purezza di momenti che dovrebbero essere, almeno nella fase della preadolescenza, solo di crescita.
Lo sport, come la scuola, dovrebbe essere semplicemente momento di condivisione, apprendimento, crescita, esperienza, conoscenza e rispetto delle regole. Non dovrebbe essere inquinato costantemente dalla ricerca ossessiva del risultato!
I ragazzi delle ultime generazioni stanno, ahimè, crescendo come individui solitari: studiano da soli, fanno i compiti da soli, giocano da soli. Conseguenza di tutto questo è che spesso hanno grandi difficoltà relazionali e faticano ad avere una predisposizione al rispetto delle regole.
Ecco allora che tornerei allo sport come momento di educazione:
Gli ultimi due aspetti sono a mio avviso i più significativi! È importante imparare ad accettare la sconfitta, ma è altrettanto importante imparare a vincere (non si vince prendendo in giro gli avversari, ma si vince godendo dell’impegno profuso nella vittoria). Poi un po’ di sano sfottò non fa mai male.
Se impari a vincere sul campo, impari a farlo anche nella vita. Ecco direi che in questo gli sport di squadra aiutano molto, perché fanno vivere delle esperienze estremamente utili e incredibilmente vicine alla vita di tutti i giorni. Forse per questo sono ancora così appassionato e continuo a praticarlo. Qualche settimana fa, in seguito a una giornata particolare, ho postato su facebook questo pensiero che condivido qui con voi:
“Lo sport dà e lo sport toglie. Dà soddisfazioni, gioia, consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande. Ti fa crescere, maturare, consapevolizzare.
Oggi è il giorno di una grande delusione sportiva. Atroce se vogliamo. Ma è anche il giorno in cui se rimando indietro il timer dei ricordi di quest’annata mi accorgo che questa squadra ha fatto un qualcosa di grandioso, unico e speciale. Quello non ci ha fatto vincere nessun campionato, ma rimarrà impresso nel cuore di tutti noi. Ieri sera abbiamo perso, meritavamo di vincere e abbiamo perso, ho visto quasi lacrime (le mie di sicuro c’erano).
Ho visto miei compagni di avventura giocare ieri sera con caviglie sfatte, stiramenti, problemi fisici vari, dita rotte, ginocchia andate (le mie ad esempio), lottare come leoni con ogni goccia di sudore che ancora si poteva spendere! Un attaccante gioca per fare goal e il giorno del mio record stagionale, 4 goal, mi ritrovo a non averne una particolare gioia.
Sono orgoglioso di essere stato il vostro capitano in questi anni e in particolare quest’anno. Spero di essere stato anche una guida come persona, perché i giocatori passano, ma le persone rimangono”.
“Lo sport è una grande lezione, una continua e meravigliosa palestra di valori. Chi non lo pensa non è un vero atleta.”
Alessandro Del Piero
A presto!